I volti dell’Ecomuseo

      Il concetto di ecomuseo, si presta all’ideazione di qualcosa di fluido e diversificato, dai tratti di volta in volta modificabili, apparentemente evanescenti ma in realtà profondamente concreti. La concretezza è determinata dall’essere, l’ecomuseo, portatore di un racconto materiale e quotidiano, che incontra l’oggi partendo dal passato, con l’ambizione di promuovere e giungere ad un futuro migliore e più sostenibile.
Attualmente, la maggioranza delle regioni italiane hanno istituito degli ecomusei,che rappresentano non solo una realtà tangibile ma soprattutto un’opportunità di conoscenza del territorio e delle specificità locali, delle tradizioni o di attività non più in uso che pur hanno lasciato un forte segno su paesaggio ed abitanti.
E’ il caso degli ecomusei legati ad attività lavorative oramai dismesse, come l’Ecomuseo delle Miniere di Gorno (BG) o della Val Germanasca (TO) o di Montecatini Val di Cecina (PI) o ancora il Museo Minerario Alpino in Val d’Aosta.
Il racconto del viaggio dello zinco tra alpeggi e miniere nasce con l’intento di rinsaldare il legame della comunità locale con le proprie radici, la propria storia e le proprie tradizioni, obiettivo attuato attraverso interventi di ricerca, salvaguardia e valorizzazione della cultura del territorio partendo da attività che hanno contribuito a conformare il paesaggio stesso. Inoltre, il mondo minerario è sempre stato profondamente legato a quello rurale, agli alpeggi e al governo del bosco: i minatori, fuori dalla galleria, accudivano le bestie, producevano formaggio per la famiglia, “andavano” per legna e per erbe, si rivolgevano per ogni necessità spirituale e materiale ai santi della tradizione.
Per indagare e valorizzare questo ricco patrimonio culturale vengono proposti all’interno dei vari ecomusei differenti percorsi che solo apparentemente sembrano disgiunti e che prendono in considerazione l’interazione fra l’uomo, il lavoro, la montagna e la sua spiritualità. Troviamo quindi percorsi quali: miniere e minatori; territorio e natura; storia, tradizione e fede; vecchi borghi e fontane.
Oppure si può citare l’ Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria. Nella vallata del fiume Stilaro, in provincia di Reggio Calabria ed in parte nel territorio montano delle Serre Calabre, per oltre 2000 anni, fu attiva una delle più importanti industrie del Mezzogiorno d’Italia, imperniata principalmente sulla siderurgia e sulla metallurgia (miniere, ferriere, fonderie, villaggi minerari, ecc…).
In quest’area, favorita dalla ricchezza mineraria del sottosuolo e dalle favorevoli condizioni morfologiche e idriche del bacino imbrifero dello Stilaro, nel 1771 Ferdinando IV di Borbone fece installare ‘ le ferriere di Mongiana ’, gestite direttamente dallo Stato, dove veniva prodotto gran parte dell’armamento dell’esercito; nei suoi altiforni furono realizzati il Ponte di Ferro del Garigliano e le rotaie della prima tratta ferroviaria Napoli-Portici.
L’ecomuseo ruota attorno ai territori con presenza di archeologia industriale, elementi di stupore e sorpresa perfino per gli abitanti del posto, che da sempre hanno immaginato la loro terra come rurale e povera. Si scopre così, come la Calabria per un lungo periodo di tempo sia stata “la culla della prima industrializzazione meridionale”.
Attività ancora in uso danno vita ad altri progetti, come il caso della “ Via dell’ardesia”, un ecomuseo articolato per “siti” e per itinerari sul territorio della Comunità Montana Fontanabuona (GE) che rappresenta un punto di svolta nel panorama economico della vallata, non più formato esclusivamente dalle attività produttive e dai commerci, ma ora anche dal turismo.
A Trapani è invece possibile conoscere le fasi di lavorazione del sale grazie all’ Ecomuseo del Sale, nel quale sono conservati alcuni attrezzi utilizzati per la sua estrazione e raccolta: ingranaggi di mulini, pale, ruote dentate, spine, pignoni. I pannelli esplicativi alle pareti e le foto dei salinari al lavoro contribuiscono ad immergere il visitatore nel mondo delle saline e ad avvicinarlo ad un mestiere con i suoi tempi e i suoi riti che si tramandava da padre in figlio. La visita non si limita ad una struttura espositiva tipica di un percorso museale: percorrendo infatti, la strada che da Trapani conduce a Marsala sono visibili montagne dal candore abbagliante che luccicano sotto il sole, le saline, una delle risorse storiche dell’economia siciliana. Gli itinerari turistici per visitare le saline si snodano lungo gli argini dei bacini e, percorrendo le sponde delle vasche luccicanti per la cristallizzazione del sale, raggiungono gli isolotti su cui troneggiano mulini a vento restaurati, memoria del tempo in cui erano gli strumenti principali per pompare acqua e macinare il sale.
Ecomuseo della Cultura della Lavorazione della Canapa – Carmagnola (TO)
A Carmagnola (TO) si può viaggiare attorno ad attività legate al tessile con l’ Ecomuseo della Cultura della Lavorazione della Canapa , la cui coltivazione ha origini remote; fibra grezza e corde robustissime furono oggetto di un commercio fiorente, sia a livello nazionale che internazionale. Vengono conservati attrezzi antichi e una ricca documentazione sulla tradizionale lavorazione delle corde.
In quello di Chardonney (Val d’Aosta) situato all‘interno di un antico fabbricato nel centro del villaggio è possibile ammirare un vecchio telaio manuale in legno e un orditoio. Qui, negli interventi conservativi effettuati sui locali, oltre a tener conto della storia si è attuato un intervento di rivisitazione realistica per coinvolgere emotivamente il visitatore: l’illuminazione a fibre ottiche contribuisce a ricreare l‘atmosfera ovattata di semioscurità in cui uomini e animali convivevano in inverno ed un impianto sonoro in sottofondo trasmette le voci di donne che pregano, i rumori delle mucche nella stalla, e del telaio al lavoro.
A tal proposito, vale la pena sottolineare come una delle tradizionali lavorazioni  oramai non più in uso – della provincia di Caserta sia stata proprio la canapa. Immaginare la formazione di un ecomuseo legato a questa antica attività potrebbe stimolare il riutilizzo e la valorizzazione di edifici dismessi oppure la bonifica di parti del territorio quali i Regi Lagni. Il collegamento più immediato potrebbe poi essere quello di includere nel discorso del tessile il real sito di San Leucio con la produzione della seta.
Altri ecomusei partono dall’osservazione del paesaggio antropizzato, le cui forme muovono da particolari esigenze o colture. Sempre in Piemonte, nella zona dell’Alta Langa troviamo L’
Ecomuseo dei Terrazzamenti e della Vite che intende concorrere al riconoscimento dei paesaggi terrazzati quali opere monumentali dell’ingegno, della sapienza e della pazienza dell’uomo, raccontando la storia, le tradizioni, i modi di vita delle società che ieri li hanno costruiti e che oggi li custodiscono.
Oppure dall’esaltazione di una particolare conformazione territoriale, come in Puglia con l’Ecomuseo del Paesaggio delle Serre di Neviano , la cui mappa di comunità è stata redatta dall’arch. Aldo Summa. L’intento è di valorizzare l’intero territorio comunale individuando nelle Serre (ultimi prolungamenti delle Murge Salentine) l’elemento che meglio rappresenta l’origine della propria identità. L’Ecomuseo di Neviano organizza passeggiate (a piedi o in bicicletta) alla scoperta di luoghi non debitamente conosciuti, collabora con le scuole locali in progetti di educazione ambientale, incentiva i piccoli imprenditori agricoli, allestisce mostre tematiche storiche, artistiche, fotografiche, promuove scritti di autori locali, organizza eventi teatrali in vernacolo, recupera e ripropone vecchie tradizioni.
Sempre in Puglia, l’ Ecomuseo dei paesaggi di pietra di Acquarica di Lecce si struttura attorno all’area archeologica di Pozzo Seccato, dove le indagini hanno rilevato la presenza di un centro fortificato di piccole dimensioni, costruito verso la fine del IV sec. a.C. lungo l’antico asse stradale che univa i centri di Cavallino, Lecce e Rudiae con la Costa Adriatica.
Attorno all’insediamento, notevoli sono le testimonianze del patrimonio culturale, distribuite nelle campagne che circondano l’abitato di Acquarica che si inseriscono all’interno del caratteristico paesaggio salentino, punteggiato di architetture rurali: masserie, trulli, pagliare, muri a secco e tratturi. La peculiarità di questo paesaggio risiede nella vastità e nelle potenzialità di sviluppo dei diversi temi e luoghi che occupano un arco cronologico di migliaia di anni.
Nel Friuli Venezia Giulia, troviamo l’ Ecomuseo delle Acque del Gemonese che si propone di documentare, recuperare e interpretare la memoria storica, la vita, le relazioni fra ambiente naturale e ambiente antropizzato, le tradizioni, le attività, le produzioni locali nonché il modo con cui gli insediamenti e le opere dell’uomo hanno caratterizzato la formazione e l’evoluzione del paesaggio e del territorio del Campo di Osoppo – Gemona, un’unità geografica ricchissima di ambienti umidi e di opere idrauliche. Su questo comprensorio l’uomo interviene da secoli, prelevando le acque ed amministrando il reticolo idrografico sotteso, scavando rogge ed elevando arginature, erigendo opifici e producendo energia.
Nel viaggio attraverso la genesi degli ecomusei, un altro aspetto può essere la lettura e la conoscenza del proprio territorio attraverso i popoli che l’hanno abitato, come nel caso del Basso Molise con l’ Ecomuseo Itinerari Frentani.
L’area ecomuseale corrisponde alla terra dei Frentani, antico popolo italico, con capitale Larinum, l’attuale Larino, e si prefigge di conservare, valorizzare, recuperare la memoria storica, le tradizioni, le feste, le attività, le strutture, l’ambiente naturale e antropico dell’area comprendente un sistema di importanti tratturi. In questa Terra dei Tratturi, nel corso della storia, sono confluiti croati e albanesi che, pur mantenendo la propria lingua e identità, hanno condiviso con la popolazione originaria la cultura agro-pastorale baciata dal mare. Il progetto mira alla valorizzazione della cultura, dei prodotti enogastronomici, dei siti archeologici, delle tradizioni, dell’artigianato e degli aspetti naturalistici dell’area frentana.
In Emilia Romagna, invece, a Villanova di Bagnocavallo (RA) troviamo l’ Ecomuseo della Civiltà Palustre, con la finalità primaria di salvare e documentare un bagaglio di capacità e valori legati alla vita vissuta fra terra e valle. Particolare attenzione va alle antiche tecniche di lavorazione delle erbe palustri, sviluppatesi dal XIV secolo fino aglianni settanta, nella piccola comunità di Villanova di Bagnacavallo. Il Centro recupera incastri, intrecci, tessiture, trame, filature, realizzati con le vegetazioni spontanee delle zone umide, cioè erbe e legnami che crescevano nell’ambiente circostante oltre ad avere riprodotto un villaggio ricostruendo strutture ed ambienti abitativi tipici delle genti che abitarono quelle zone.
Molto interessante è anche il caso del Trentino Alto Adige in cui l’Ecomuseo del viaggio si propone di recuperare e valorizzare la memoria storica locale, la vita, la cultura e le relazioni fra ambiente naturale e ambiente antropizzato, sfruttando percorsi tematici che, snodandosi dall’antica via romana, la Via Claudia Augusta Altinate, possono facilmente essere seguiti dall’utenza media. Il viaggio è il tema di fondo, inteso anche dal punto di vista degli antichi ambulanti del territorio, in special modo i Tesini, che, partendo quasi sempre a piedi dalla valle, hanno percorso le vie del mondo per offrire la propria mercanzia a buon mercato, hanno fondato una sessantina di negozi in Europa, ed alcuni di essi sono anche diventati editori di stampe.
Infine, ancor più significativo e sperimentale è il caso degli ecomusei urbani, primo tra tutti l’Ecomuseo Urbano Torino, che si identifica con un contesto sociale e una storia collettiva, o meglio con la somma delle tante memorie della Torino del Novecento, in cui i cittadini sono i protagonisti delle attività museali: non più solo i destinatari delle proposte, ma, a diversi gradi e livelli di impegno, attori di interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, materiale – costituito da architetture, monumenti – o intangibile, fatto di memorie e testimonianze dirette. E’ un museo- processo, che si propone di essere il luogo di raccolta delle interpretazioni sulla storia della città per scoprire insieme agli abitanti le identità della Torino contemporanea.
Non un museo del passato e della memoria, ma soprattutto un laboratorio per leggere la dimensione del contemporaneo e per costruire un futuro condiviso, per giungere all’integrazione di parti e quartieri della città, spesso lasciati all’isolamento. Sull’esempio torinesesono nati quello di Botrugno e di Milano Niguarda.
Ecomuseo Terra Felix , Casale di Teverolaccio – Succivo (CE)

In questo rapido viaggio tra nord e sud, gli unici cenni ad ecomusei che troviamo in Campania sono l’ Ecomuseo dell’Alto Casertano a San Potito Sannita, in provincia di Caserta e l’Ecomuseo del fiordo di Furore nel Salernitano, dove, grazie alla collaborazione tra l’amministrazione comunale, la Soprintendenza BAP di Salerno e l’Orto Botanico di Napoli è stato possibile disegnare itinerari turistici che vanno dal sentiero dei Pipistrelli impazziti alla “Via del cinema” sulle tracce di Bergman, Magnani, Rossellini, Totò e Mastroianni, o ancora ai “Muri d’autore”, percorso tra sculture e murales. Recente è la costituzione dell’ Ecomuseo Terra Felix che, nel Casale di Teverolaccio a Succivo, ospita 18 Orti Sociali.

Nonostante gli ecomusei rappresentino un assoluto punto di forza per un territorio, il Sud tarda ancora a comprendere il valore di queste strutture e le amministrazioni del Mezzogiorno sembrano sottovalutare la capacità di intervenire per conservare e valorizzare i luoghi con il loro carico di vita vissuta: in una regione ricca di storia e suggestioni, di qualità ed eccellenze come la nostra Campania è auspicabile una presa di coscienza da parte di enti ed istituzioni, per mettere in moto energie e fondi.

Glenda Caserta