Beni evaporabili. Quando l ‘immaterialita’ si palesa

Da qualche tempo anche i beni culturali immateriali hanno raggiunto l’onore delle cronache ed il giusto riconoscimento. La Campania – con l’esperimento ecomuseale realizzato dal Servizio educativo della Soprintendenza Belle arti e paesaggio di Caserta e Benevento, in collaborazione con la Soprintendenza Belle arti e paesaggio di Salerno e Avellino  e del Polo Museale della Campania – si propone come laboratorio ideale per le analisi e la catalogazione di questi beni intangibili.

Nell’ambito del patrimonio culturale i beni non tangibili o viventi riguardano in special modo le tradizioni trasmesse per via orale, attraverso il linguaggio verbale e/o attraverso i linguaggi del corpo. Questa tipologia di beni, di cui non è sempre agevole dare un’identificazione tipologica precisa, era alla base della trasmissione culturale prima dell’uso della scrittura.

Nella sua articolazione il Patrimonio Culturale Immateriale da salvaguardare:

  • viene trasmesso da generazione in generazione: il passaggio generazionale garantisce in questo modo il perpetuarsi dell’episodio;
  • è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in stretta correlazione con l’ambiente circostante e con la sua storia: il costante “ripensarsi” porta alla creazione e al rafforzamento dell’identità;
  • permette alle comunità, ai gruppi e alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale: la dinamicità della cultura fa sì che questo tipo di accadimenti siano sempre in costante mutamento;
  • promuove il rispetto per le diversità culturali e per la creatività umana: il confronto e la ricerca di similitudini in altri contesti finisce per favorire dei legami che definiamo “gemellaggi”;
  • diffonde l’osservanza del rispetto dei diritti umani e della sostenibilità dello sviluppo di ciascun paese: queste situazioni possono spesso creare nuove forme di economie.

Possiamo anche affermare che il Patrimonio Culturale Immateriale è principalmente costituito dalle seguenti macro categorie di beni:

  • le lingue, i dialetti e le isole alloglotte diverse dall’italiano o dalla lingua nazionale;
  • le arti performative, musica, danza e le varie forme di teatro;
  • le pratiche sociali, riti, feste religiose e non, le cerimonie;
  • le conoscenze e le pratiche intorno alla natura ed alle conoscenze dell’universo;
  • le modalità e le tecniche, i saperi dei lavori artigianali.

Dall’interrelazione di questi elementi con l’ambiente circostante, fisico e sociale, si arriva alla formazione e all’elaborazione dinamica ed alla frammentazione delle identità locali. Partendo da questo presupposto, l’UNESCO si è posto il problema di come salvaguardare questi elementi al fine di evitarne la scomparsa, secondo i principi e le modalità impiegate per i beni materiali.

L’antropologia, così come le altre scienze legate a questi fenomeni, ha evidenziato che la cultura è un processo caratterizzato in particolare da aspetti dinamici e relazionali: la cultura e le tradizioni si trasformano e si inventano, legandosi ad un contesto sempre mutevole. E’ per questo che a noi piace sempre e comunque parlare di culture. L’UNESCO ha riconosciuto tale approccio, poiché la definizione di patrimonio immateriale della Convenzione del 2003 deve essere inteso come un sistema di saperi e conoscenze dove le tradizioni culturali vengono tramandate di generazione in generazione e sono beni vitali e viventi delle comunità locali all’interno delle quali questi beni ricreano continuamente identità.

L’art. 2 della Convenzione definisce così i patrimoni culturali immateriali: «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana»

Sotto la spinta dell’UNESCO i beni culturali demoetnoantropologici sono stati di recente riconosciuti come parte del patrimonio culturale anche in Italia. La loro peculiarità sta nel narrarsi, e in questo si differenziano culturalmente dai processi che caratterizzano le classi popolari dell’Occidente e le popolazioni senza scrittura degli altri continenti. Da questi presupposti deriva una trattazione articolata, fatta di ricerca antropologica; dalla schedatura e dalla valorizzazione dei contenuti specifici delle feste e dei canti deriva la costituzione di musei che necessitano del supporto e dell’intervento delle istituzioni, così come della ricerca scientifica e delle attività didattiche, universitarie e non. «Nella politica dei beni culturali – sottolinea Pietro Clemente – io credo che la competenza demoetnoantropologica sia strategica perché offre la connessione tra natura e arte, tra artigianato e genialità creativa, tra musica e poesia, tra passato archeologico e presente degli stili locali, connettendoli alle pratiche sociali dentro le quali noi studiamo questi fenomeni. Mi sembra cioè che quello antropologico sia un settore che non solo ha un corpus di Beni, ma anche un contenuto disciplinare connettivo, interpretativo degli altri settori».

Ancora, non va sottovalutato in Italia il dibattito aperto da Alberto M. Cirese nei primi anni Novanta del Novecento, relativo ai beni volatili, che offrì lo spunto a riflessioni e dibattiti in ambito DEA (demoetnoantropologico). Cirese stese, infatti, un rapporto per la Commissione per le Discipline umanistiche istituita dal Ministero Ruberti (1991), in cui  definiva questa diversa categoria di beni che, quanto a costituzione potrebbero dirsi volatili: «Canti, fiabe, feste o spettacoli, cerimonie e riti che non sono né mobili, né immobili in quanto per essere fruiti più volte, devono essere ri-eseguiti o ri-fatti, ben diversamente da case o cassapanche o zappe la cui fruizione ulteriore (danneggiamenti a parte) non ne esige il rifacimento». Per quanto riguarda le feste popolari, ad esempio, da una prima scrematura se ne rilevano diverse centinaia, che presentano particolarità tali da renderle episodi unici; senza contare le mere processioni, nelle quali viene messa in scena la sola devozione popolare.

E’ possibile pretendere di adottare una visione più ampia, più moderna e soprattutto etica della cultura e della scienza considerando la cultura bene comune, che pure non vuol dire rifiutare la contaminazione tra pubblico e privato, tra cultura ed economia.  A tal fine è consentito sperare in una riforma delle istituzioni preposte alla gestione del patrimonio culturale immateriale DEA che sappia apprezzare il contributo degli esperti, che spesso hanno dato molto ricevendo in cambio poca considerazione e l’esclusione dal mondo accademico e che oggi stanchi di non essere ascoltati, comunque continuano nel tentativo di tramandare i loro saperi con la speranza che questo sistema-paese possa concedere finalmente ai giovani, formatisi per questa “missione”, di continuare ad offrire le proprie capacità al fine di consolidare il rispetto reciproco che sta alla base delle alterità culturali. Io sono perché tu possa essere…

A. Colucciello

Pubblicazione Ecomuseo – 3° Ed.

Hanno partecipato:

Liceo Classico  “Axel Munthe” – Capri Ricordi di un’isola

Liceo Artistico – Marcianise – O’ bball’ e’ llurz’

Liceo Artistico Statale di Napoli – La casa dei Teatini 1694

Liceo Artistico Statale di Napoli –  Silenzio,Odore,Colore

Liceo “E. Morante” – Scampia –  Napoli Scampia: il futuro comincia adesso