Dell’ideologia ecomuseale

«Tutto sta nel trasformare il museo
da ‘salotto delle muse’ ad Agorà,
luogo pubblico per eccellenza,
punto di aggregazione
dei cittadini, casa del collettivo»

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Alfredo “Fredi” Drugman.
Feurs (Francia) 1927 – Milano 2000 [/ref]

 

Ogni territorio è speciale! Ogni territorio rappresenta, prima di tutto per chi lo abita, qualcosa di molto più complesso di una semplice superficie caratterizzata dalla presenza di determinati attributi, come una popolazione, strade, insediamenti, elementi naturali e paesaggistici. Il territorio non è solo il terreno su cui si vive e si lavora: ingloba la storia degli uomini che vi hanno abitato e lavorato nel passato e le tracce, materiali o immateriali, con le quali essi l’hanno segnato. Contiene un patrimonio diffuso, ricco di dettagli, e soprattutto una fitta, densissima rete di interrelazioni fra tutti questi elementi. Per questo, anche se a prima vista può sembrare simile a tanti altri, ogni territorio è speciale.
La consapevolezza dell’esistenza di questo complesso patrimonio locale, materiale e immateriale, strettamente legato al territorio è quello che chiamiamo genius loci o anche il “carattere di un luogo”. E’ un elemento importante per il benessere e la vitalità delle comunità, perché l’indifferenza nei confronti della propria terra è l’inizio del declino economico e sociale. E siccome non si apprezza ciò che non si conosce, la scoperta del valore dei luoghi, del loro carattere speciale, spesso è il primo passo di una strategia mirata al benessere e alla vitalità di una comunità locale.
La crescente fragilità e vulnerabilità delle risorse primarie, in relazione alla frammentazione degli ecosistemi e alla riduzione della connettività delle reti ambientali; l’abbandono del presidio e della cura del territorio rurale con la perdita di paesaggi montani e collinari; l’insostenibilità del modello insediativo urbano e produttivo (consumo di suolo e di energia, mobilità da mezzi privati); la perdita di identità locali socialmente riconosciute dovuta a crescenti processi di banalizzazione paesistica attraverso diffusi interventi trasformativi decontestualizzati; l’indebolimento delle filiere di produzione/consumo legate al territorio. Tutti questi processi hanno condotto a diffuse energie da contraddizione. Mille vertenze che partono da disagi puntuali (una infrastruttura, una discarica, un inceneritore, un fiume inquinato, il costo di servizi, ecc.) si sviluppano: come autoriconoscimento di una comunità insediata, come re-identificazione dei valori patrimoniali dei luoghi e senso di appartenenza; come ricostruzione di saperi e, soprattutto, come base per forme di sviluppo locale auto sostenibile.
«La coscienza di luogo, crescita di questi processi di autoriconoscimento, reidentificazione e cura in un’ottica di sviluppo sostenibile locale, si può in sintesi definire come la consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali (materiali e relazionali), in quanto elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale e collettiva, biologica e culturale. In questa presa di coscienza, il percorso da individuale a collettivo connota l’elemento caratterizzante la ricostruzione di elementi di comunità, in forme aperte, relazionali, solidali» (Magnaghi, 2010).
La riappropriazione della coscienza di luogo sembra dunque condizione sine qua non per ricostruire identità, territorialità e autosostenibilità. Il concetto di autosostenibilità dello sviluppo richiede di attivare forme di autogoverno dei propri beni patrimoniali da parte della società locale per la produzione di ricchezza durevole. Il primo atto è la narrazione socialmente condivisa di questi beni patrimoniali, che produce una crescita di coscienza di luogo.
Centinaia di piccoli sintomi possono preannunciare la trasformazione e, nella maggior parte dei casi, il depauperamento del nostro patrimonio: la decisione di costruire su di un terreno fino ad allora a destinazione agricola, di chiudere un insediamento produttivo, di deviare o coprire un ruscello, di interrompere un festival. Tutti questi avvenimenti però, si verificano in compartimenti stagni e l’effetto che ciascuno ha sugli altri non è quasi mai considerato. Così come non è considerato il loro impatto complessivo su di noi, di cui si parla raramente.
Lo stesso vale per le decisioni importanti: le polemiche che normalmente interessano i politici e i professionisti si riferiscono ad aspetti quantitativi mentre le domande che riguardano qualità ed equità, che non possono essere adeguatamente quantificate, vengono tralasciate perché difficili da gestire. Il nostro apprezzamento di solito è messo alla prova solo quando si avvicina la minaccia di un cambiamento insostenibile, o quando questo si è già materializzato. Ma quanto ci sentiamo responsabili di un luogo e dei cambiamenti che lo riguardano? Di quanto coraggio disponiamo per opporci ad azioni che percepiamo come riduttive dello spirito di un luogo e tali da rendere meno significativa la sua complessità? Siamo coinvolti profondamente, nel bene e nel male.
Il passaggio dall’accettazione passiva all’impegno attivo può essere improvviso, per reazione, oppure lento e proattivo, ma deve essere inesorabile ed ineludibile. La logica della delega, che ha guidato le nostre coscienze sino ad ora, ha fallito miseramente. Necessariamente dobbiamo impegnarci per avere buone condizioni ambientali in ogni luogo e a disposizione di tutti; lavorare insieme per avere più natura e ambiente, più storia, più ricchezza paesaggistica, edifici più adatti e appropriati, il meglio che la nostra epoca possa offrire, in ogni parte delle città e delle campagne.
I luoghi sono nostre creazioni. Noi e la natura contribuiamo, attivamente o inconsciamente, a spostare e riequilibrare, ad accelerare o rallentare, a innovare o replicare. Frammenti di storie che affondano le radici nel mito o nella leggenda, economie e culture si accumulano e si selezionano su tanti minuscoli pezzi di territorio. Il significato locale si rafforza in una impercettibile danza fra dettaglio e patina: comprendiamo profondamente un luogo attraverso storie più volte raccontate, significati condivisi, frammenti e aspetti identitari. Ogni giorno le persone compiono il proprio cammino tra territori conosciuti e sconosciuti utilizzando carte stradali, autobus, metropolitane. Sono pochi quelli che non si disorientano di fronte a una vecchia mappa, con ritratti di montagne in morbido acquerello o colline e ferrovie tratteggiate intorno. La moderna cartografia ha invece la pretesa di essere basata sui dati, di offrire un’immagine oggettiva a due dimensioni del nostro mondo; eppure queste nuove mappe si realizzano sempre più attraverso rilevazioni satellitari e la conoscenza sul terreno è considerata meno precisa e dettagliata, meno utile, più costosa. Mentre raccogliamo sempre più dati sul pianeta, mentre condividiamo quantità incredibili di ricerche in tutto il mondo, a qualsiasi scala dimensionale, scompare il buon senso e la conoscenza dal vero, quella basata sul luogo e acquisita di generazione in generazione, svanisce. A qualunque livello di astrazione, ci sentiamo meno capaci di ragionare su quello che conosciamo e meno sicuri nella valutazione di tutte quelle innumerevoli piccole cose che arricchiscono la vita quotidiana e ci aiutano ad interagire vantaggiosamente con la natura e la cultura.
Stiamo tentando di concentrarci sulle comunità locali, l’arena più piccola in cui prende forma la vita sociale, il territorio per il quale provi affetto, che per te ha un significato, del quale condividi qualche conoscenza, in cui puoi facilmente trovare protezione e provare indignazione; il quartiere che conosci, che in qualche modo ha contribuito alla tua formazione. Questo è il “locale”: il luogo nel vero senso del termine, dove la definizione corrisponde alla realtà, dove l’indifferenza è inusuale, dove isolarsi è difficile. È qui che ci troviamo coinvolti e, anche se a volte agiamo con negligenza, la responsabilità prevale. È qui che i valori e i fatti si influenzano a vicenda per creare un sapere da tramandare riferito alla natura, al vivere, al ricordare, al morire.
Costruire una “Mappa di comunità” implica diversi aspetti: esprimere una dichiarazione collettiva di valori; affermare principi di coinvolgimento; farsi carico direttamente di un luogo. È la rappresentazione di un territorio, ma visto con gli occhi di chi lo vive. È una mappa che racconta non tanto la geografia di un luogo, quanto gli elementi identitari della comunità che lo abita, della sua storia passata e presente. È una creazione collettiva dove trovano spazio racconti e testimonianze, memorie e desideri, timori e speranze. Un modo per trasmettere questo patrimonio di valori alle future generazioni. Al centro del lavoro è l’identità contemporanea della città, del paese, del quartiere; un’identità forte tanto della sua storia quanto del progetto di un futuro comune, dove sia i residenti storici che i nuovi possono riconoscersi come parte di una comunità e fare squadra. Il percorso, attraverso la relazione tra le diverse culture e generazioni, passa per la conoscenza e la rilettura critica dei luoghi, con l’obiettivo di descrivere il patrimonio in una prospettiva di bene comune.
Protagonisti della Mappa sono gli abitanti dei diversi quartieri e i cittadini legati al territorio da uno speciale legame affettivo. Sono stati coinvolti, nelle diverse fasi del progetto, i giovani e i giovanissimi italiani e stranieri, le loro famiglie e gli anziani del luogo, portatori di una memoria storica straordinaria. E ancora le istituzioni, diversi operatori del sociale e, soprattutto, le tante associazioni che operano nella comunità, diventate essenziali compagne di viaggio.
La scrittura della Mappa è un processo lungo e strutturato, che in un anno ha impegnato numerosi attori sociali. Il metodo utilizzato è quello della ricerca-azione: ogni partecipante è stato al contempo destinatario e protagonista dell’intervento. Sono state realizzate interviste, ricerche bibliografiche, raccolte testimonianze, svolte esplorazioni emotive del territorio per guardarlo con occhi nuovi, per vedere “oltre” il quotidiano. Nel corso del lavoro, ci sono stati anche momenti pubblici di confronto, occasioni di festa e di gioco organizzati dalle istituzioni scolastiche insieme alle associazioni e che hanno coinvolto tutta la comunità. Gli abitanti hanno aperto le loro case, messo a disposizione libri, fotografie, video di famiglia. Tanti gli “esperti locali” che si sono messi in gioco, condividendo le proprie conoscenze ed esperienze. Tutto ciò ha permesso di costruire un immenso archivio della memoria storica locale.
Dopo numerosi incontri si è arrivati ad una prima sintesi, a “scrivere” la Mappa. Sono stati scelti i temi portanti, quelli che fanno del territorio un luogo speciale: la molteplicità e qualità delle relazioni, la memoria, l’associazionismo e la cittadinanza attiva, la presenza di beni culturali, la cultura enogastronomica, il paesaggio, l’orografia del territorio e le colture autoctone. Per ciascun tema la comunità ha individuato i luoghi significativi, quelli a cui si “riconosce valore”, che sono stati poi oggetto di confronto per metterne a fuoco criticità ed aspettative. Un lavoro avviato che vede oggi una sua prima presentazione ma che, per sua natura, non può e non vuole dirsi concluso.
La storia lascia le proprie tracce sulla terra in modo caotico, il che rende stimolante ed emozionante trovarle. Sono lì e aspettano di essere comprese e discusse.

Daniele Napolitano