Gli Ecomusei, nuovi processi partecipati per riscoprire la centralità della persona

 

 

Negli ultimi anni l’interesse rivolto agli ecomusei, riconosciuti come nuovi processi partecipati per riscoprire la centralità delle persone e delle comunità di cui esse fanno parte, è fortemente aumentato. Nel 2016 l’ICOM, l’International Council of Museums, nell’ambito della 24^ Conferenza Generale “Musei e paesaggio culturale, Milano 2016”, ha dedicato agli ecomusei e ai musei comunitari il primo forum con l’intento di condividere esperienze e progetti per favorire prospettive di scambio e collaborazione[1]. Conseguenza del lavoro è stata la costituzione di un gruppo di lavoro internazionale permanente e la nascita di “Ecomuseums DROPS Platform”, la piattaforma digitale in cui sono collegati tutti gli ecomusei e le reti regionali e nazionali esistenti o ancora da fondare[2]. Qui, in maniera simultanea si condividono documentazioni multilingue e risorse utili alla diffusione dell’ecomuseologia, un enorme passo avanti per gli ecomusei che tuttavia continuano a fare fatica ad affermarsi e a essere istituzionalizzati e normati. Del resto, non va dimenticato che, pur risalendo al 1971 la nascita dell’ideologia ecomuseale, i primi risultati politici nel settore risalgono soltanto al 2005, anno in cui gli Stati membri del Consiglio d’Europa – “riconoscendo la necessità di mettere la persona e i valori umani al centro di un’idea ampliata e interdisciplinare di eredità culturale; rimarcando il valore e il potenziale di un’eredità culturale usata saggiamente come risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita, in una società in costante evoluzione; riconoscendo che ogni persona ha il diritto, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui, a interessarsi all’eredità culturale di propria scelta”[3] – dichiarano l’imprescindibile partecipazione attiva delle comunità locali alla gestione e implementazione dell’eredità culturale, con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo umano e una maggiore qualità della vita.

Per eredità culturale – si legge nel documento condiviso – si intende l’insieme di risorse ereditate dal passato che le comunità identificano come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni. Non è però da interpretare, secondo una visione romantica, come una nostalgica contemplazione del passato. Essa è in continua evoluzione e per questo non si limita a salvaguardare ciò che “è stato”, ma si propone di progettare “ciò che sarà” in futuro. La società contemporanea dunque, è una “comunità di eredità”, costituita cioè da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale che intende sostenerli e trasmetterli alle generazioni future.

In questo dibattito internazionale, l’Italia riveste un ruolo importante. La prima regione a dotarsi di una normativa in materia di ecomusei, nel 1995, è stata il Piemonte. Da quel momento, seppure in tempi relativamente lunghi, sono state avanzate proposte di legge dalla maggior parte delle regioni e ormai quasi tutte ne godono.

Nel 2014 è stata promossa la ricerca di una strategia e di una metodologia ecomuseale specifica culminata nella determinazione di un documento condiviso, il “Manifesto strategico degli ecomusei italiani”[4]. Questo riflette innanzitutto sulla costruzione di un movimento ecomuseale nazionale, sia su un piano teorico sia su un piano pratico; in secondo luogo programma le attività da svolgere attraverso la cooperazione e il lavoro di rete, non senza aver prima censito gli strumenti di lavoro e le metodologie comuni. Si legge: gli ecomusei “sono come processi partecipati di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile”. Essi sono “identità progettuali che si propongono di mettere in relazione usi, tecniche, colture, produzioni, risorse di un ambito territoriale omogeneo con i beni culturali che vi sono contenuti; sono percorsi di crescita culturale delle comunità locali, creativi e inclusivi, fondati sulla partecipazione attiva degli abitanti e la collaborazione di enti e associazioni”.

Il “Manifesto strategico degli ecomusei italiani”, come si può evincere dalla definizione stessa che in esso si dà degli ecomusei, apre a un nuovo orizzonte di gestione del territorio e di utilizzo delle sue risorse mediante la mobilitazione della creatività locale ed elaborando nuove strategie finalizzate alla valorizzazione del patrimonio e alla crescita del benessere culturale, sociale ed economico delle comunità. Gli ecomusei vengono riconosciuti come strumento di pianificazione partecipata del territorio, un “patto” con il quale la comunità si prende cura del proprio patrimonio, materiale e immateriale. Essi non possono chiaramente prescindere dalle persone: compiono una rivoluzione che pone al centro la persona, abbandonando definitivamente l’approccio del museo tradizionale, che punta tutto sul prodotto artistico per creare valore in termini di relazioni. Queste ultime tuttavia non escludono per niente il patrimonio anzi, riconoscendone il valore, diventano lo strumento attraverso il quale legare i cittadini a quest’ultimo. La tutela e la valorizzazione cessa così di essere funzione esclusivamente pubblica per diventare interesse pieno della società intera. Ne scaturisce una piena applicazione del principio di sussidiarietà e delle forme di cittadinanza attiva[5].

Al di là degli ecomusei italiani nati in contesti pronti all’apertura verso nuovi processi di gestione del territorio, organizzati in rete, normati da leggi regionali  e incoraggiati dalle politiche culturali, protagonisti poi del “Manifesto strategico degli ecomusei italiani”, esiste un gran numero di esperienze ecomuseali intraprese grazie alla volontà dei singoli cittadini che con forza e determinazione hanno stimolato un dibattito locale e un coinvolgimento attivo delle loro comunità, pur dovendo spesso scontrarsi con contesti poco o per niente pronti, e non solo da un punto di vista normativo. Se infatti gli ecomusei sono, per usare le parole di Daniele Jalla, “una iniziativa dal basso, che agisce in autonomia rispetto ai poteri politici e culturali, che afferma il primato della comunità rispetto al potere tanto nell’individuazione del patrimonio quanto rispetto ai modi per conservarlo e trasmetterlo, assegnando alle istituzioni un ruolo di servizio e il compito di interpretare e realizzare i bisogni e le attese della comunità”, è altrettanto vero che tale esperienza esiste laddove c’è la volontà dei cittadini di sentirsi protagonisti del racconto dei propri territori ed è spesso da quest’ultima che si alimenta un processo di istituzionalizzazione degli ecomusei.

In questo scenario si inserisce il progetto “L’Ecomuseo, il futuro della memoria”, promosso dal Servizio Educativo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento e in particolare l’intuizione e l’azione di Emilia Ruggiero, funzionario responsabile del Servizio Educativo. Evidentemente legittimato dal valore delle comunità locali, il progetto si è fatto portavoce della necessità di riscoprire e comunicare la straordinaria peculiarità dei territori delle province di Caserta e Benevento. Utilizzando la metodologia ecomuseale delle mappe di comunità e dell’inventario partecipato, e sviluppando nuovi strumenti come la fotografia e le produzioni video, “L’Ecomuseo, il futuro della memoria” ha sensibilizzato i numerosi partecipanti, intervenuti nel corso delle otto edizioni, ad essere cittadini attivi, protagonisti della politica culturale locale. Partendo infatti dall’assunto che i veri protagonisti del cambiamento sono i cittadini attenti ai processi di trasformazione dei territori, consapevoli del valore della memoria come potenziale per un processo di miglioramento, il progetto ha voluto fornire dei mezzi attraverso i quali far riscoprire i beni materiali e i beni immateriali delle comunità locali. Il risultato è stata l’acquisizione di un enorme patrimonio di informazioni da tutelare e valorizzare. Canti, musiche e balli popolari, ricette, dialetti e filastrocche, tradizioni, usi e costumi si intessono perfettamente nei contesti urbani moderni e nelle specificità dei paesaggi. Sono la vera “eredità culturale” su cui le politiche culturali locali potrebbero puntare per ricucire le relazioni virtuose tra territorio, patrimonio e identità. “L’Ecomuseo, il futuro della memoria”, di fatto, ha contribuito al profondo rinnovamento culturale dei territori coinvolti, rivelandosi un progetto valido, capace di attrarre sempre nuove risorse, di reiventarsi pur restando fedele ai suoi obiettivi, e soprattutto in grado di crescere, costruire reti e sinergie. In questi anni ha promosso un’azione educativa concreta che ha reso i partecipanti capaci di osservare e ascoltare la storia dei propri territori e di comunicare quest’ultima coinvolgendo a loro volta l’intera comunità locale protagonista del racconto. Ha compiuto quindi l’impresa più ardua: sensibilizzare le comunità. Adesso però tocca a queste ultime continuare il percorso iniziato otto anni fa.

[1] Cooperation charter, Ecomuseums and Community museums Forum, Icom Milan July 2016,  http://www.ecomusei.eu/ecomusei/wp-content/uploads/2017/02/Carta-di-cooperazione-3-Jan-2017.pdf
[2] https://sites.google.com/view/drops-platform/home/home-italiano?authuser=0
[3] Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Consiglio d’Europa, Faro, 27.X.2005, https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1492082511615_Convenzione_di_Faro.pdf
[4] Manifesto strategico degli ecomusei italiani, Agenda 2016/2017, http://www.ecomusei.eu/ecomusei/wp-content/uploads/2016/01/Documento-strategico.pdf
[5] Daniele Jalla, Ecomusei e definizione della partecipazione, in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 9 marzo 2017, http://fondazionefeltrinelli.it/viaromagnosi-ecomusei-definizione-della-partecipazione/#top