Le tracce del progresso

La borghesia ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d’Egitto, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche: soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all’industria e all’agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, fiumi resi navigabili, intere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo.
Karl Marx.
L’Ecomuseo promuove la cultura e la didattica, ridefinisce le identità territoriali, rivalorizza i beni culturali, paesaggistici e della tradizione, tutela i costumi, le lingue e i dialetti, difende i segni delle società rurali dall’urbanizzazione e dal processo industriale, che fra Sette e Ottocento irruppe sulla scena europea trasformando il settore produttivo e soprattutto il rapporto tra l’Uomo e il Territorio fino ad allora armonico. I popoli diventano ben presto schiavi delle nuove scoperte e, credendo di esser diventati Padroni assoluti dell’ambiente e delle sue risorse, concepiscono l’habitat naturale come oggetto di sfruttamento.
Accresce in questi anni la nostalgia dell’unità tra Uomo e Territorio e l’unicstrada che consente di evadere dalla realtà e di esprimere mediante l’immaginazione tale sentimento è l’ARTE. L’artista romantico evoca sensazioni estreme: le ambientazioni, volutamente fosche, quasi misteriose, sono l’unico modo attraverso il quale si riesce a toccare l’emozione e la sensibilità dell’uomo, capace di rinnegare le proprie radici per un’affannosa corsa al progresso.
I paesaggi di Constable o di Rousseau, le celebri onde del mare di Turner, le vedute cittadine di Corot corrispondono alla nuova categoria di immagini “romantiche”, che contrappongono drammaticamente lo scenario idilliaco naturale allo squallore sociale e ambientale dei nuovi insediamenti industriali. Le loro opere, pur essendo dipinti di piccole dimensioni che accrescono la sensazione di una pittura intima e colloquiale, hanno la capacità di esplodere silenziosamente con i loro colori, effetti di luce, ombre e trasparenze. L’uomo scompare definitivamente dalle scene, oppure gli viene relegato il ,compito riempitivo, venendo strappato via dal suo contesto naturale.
Le tracce del popolo industriale restano evidenti e se i pittori romantici si rifugiano in un loro mondo fatto di nostalgia e sentimento profondo, gli architetti di quegli stessi anni volgono lo sguardo ai cambiamenti che l’industrializzazione ha prodotto sul territorio. Emblematiche sono le incisioni dell’architetto Augustus Welby Pugin, tratte dalla sua opera “Contrasti”, in cui effettua un lavoro di confronto tra le città del suo tempo e quelle dei secoli precedenti: la concentrazione delle industrie nasconde l’originario volto di quei luoghi e l’uomo ne dimentica completamente l’aspetto, i colori, gli odori, i sapori. Là dove avevano dominato la campagna e gli ampi spazi verdi, nascono i castelli della nuova epoca: le fabbriche. Il paesaggio perde così la qualifica di naturale per assumere quella industriale e le fabbriche diventano le cattedrali dell’età postindustriale, i Monumenti della nuova era! In tempi recenti, la conoscenza di tali ‘monumenti’, la loro localizzazione e individuazione è diventata oggetto di una nuova scienza, l’ Archeologia Industriale.
Belvedere San Leucio (CE) – Setificio Leuciano

L’accostamento di questi due termini può confondere e sconvolgere l’idea comune, dal momento che per “Archeologia” si intende la scienza dell’antico, mentre per “industriale” un processo di sviluppo legato all’economia, alla produzione, alla tecnologia. Ma Michael Rix, professore dell’università di Birmingham che utilizzò questa espressione per la prima volta in un suo articolo del 1955, abbandonò il concetto tradizionale di archeologia come storia dell’arte antica per fare suo quello di archeologia come storia. Possiamo pertanto comprendere, senza stupirci dinanzi a tale ossimoro, che i fini dell’ Archeologia Industriale sono quelli di approfondire la conoscenza del passato e del presente industriale, studiando le testimonianze, materiali e immateriali, della storia, dell’architettura, della tecnologia, dell’urbanistica, dell’arte, dei costumi e della vita sociale.

Negli ultimi decenni numerose strutture industriali sono state riscoperte, restaurate e rivalutate tanto da essere rese centri espositivi e poli museali ed inoltre, con la nascita degli Ecomusei, si è riusciti a creare una fitta rete tra la storia dei centri urbani e quella dell’industrializzazione di un medesimo luogo. Anche in Italia abbiamo veri e propri esempi di Archeologia Industriale: il Cotonificio Muggiani in provincia di Milano, Crespi d’Adda , una vera e propria città operaia riconosciuta patrimonio dell’UNESCO, il Lingotto di Torino, le Ciminiere di Catania, le Officine Ducrot di Palermo, il Complesso Monumentale Belvedere di San Leucio a Caserta.
Quest’ultimo, fortemente voluto dal re Ferdinando IV, ideato con l’intento di rendere il Borgo di San Leucio capitale della seta, costituisce attualmente uno dei percorsi di Archeologia Industriale più interessanti, dove è possibile ammirare gli strumenti adoperati per la lavorazione della seta: telai in legno ancora funzionanti, la cuculliera per il deposito e la preparazione dei bozzoli da seta, la filanda, due grandi torcitoi a motore che, ricostruiti fedelmente sugli antichi disegni, sostituiscono gli originali mossi da macchine idrauliche ed esempi di manufatti.
Questi siti appena citati e molti altri ancora, hanno destato un for te interesse turistico grazie anche ai numerosi progetti finalizzati per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio territoriale, come ad esempio l’identificazione di itinerari dove individuare, mediante il supporto di foto, documenti scritti, racconti o ricordi, le tracce dell’uomo ed i suoi effetti. Ebbene, essendo l’Ecomuseo una vera e propria indagine investigativa, capace di coinvolgere tutti nella ricostruzione delle radici di un territorio, implica direttamente l’Archeologia Industriale e i suoi “resti fisici”, patrimonio di quell’epoca che ha sconvolto il mondo, mentre uno dei suoi risultati più efficaci è proprio l’identificazione di itinerari o Mappe di comunità , “strumenti con cui gli abitanti hanno la possibilità di rappresentare il patrimonio, il paesaggio, i saperi in cui si riconoscono e che vogliono trasmettere alle generazioni successive”.
Il Concorso d’Idee, coinvolgendo gli alunni delle scuole di Caserta e Benevento nell’identificazione di Mappe di comunità, ha avuto proprio l’intento di trasmettere alle nuove generazioni l’importanza del patrimonio inestimabile, ma anche troppo spesso sottovalutato e maltrattato, che essi possiedono: il territorio. E per ricordare a tutti che il patrimonio accumulato nel tempo è la risorsa più preziosa per il futuro della memoria!
Veronica Pennini