Evoluzione ecomuseale e mappe di comunità

All’evocazione della parola museo la prima visione che si impone è quella del museo tradizionale gestito dal “conservatore di oggetti”, usuale negli ambienti occidentali e familiare alle generazioni contemporanee. Ciononostante essa non è che una configurazione del fenomeno museale. Cambiare l’idea di museo significa cambiare prospettiva rispetto all’Universo, riorganizzando lo spazio sociale e appropriandosi di una cultura nuova. Ad esempio i secoli moderni dal 1500 al 1700 sono stati segnati dall’epoca delle wunderkammern e degli studioli piuttosto che dei cabinets de curiositès dei principi, rappresentativi dell’espressione del potere e della loro utilizzazione a fini politici ma ugualmente manifestazione delle riflessioni degli uomini sul mondo e del rapporto col divino.
La Rivoluzione francese ha imposto un nuovo ordine sociale. La sua visione specifica del mondo domina il periodo di sviluppo dei ‘musei moderni’, la cui idea perdura ancora oggi, benché essi si siano adattati nel tempo alle nuove esigenze, ai progressi tecnicoscientifici, etc. Altrettanti fattori di rottura e continuità hanno condizionato l’evoluzione di questa forma museale fino all’età d’oro dei “musei della memoria vivente” così come sono stati concepiti dalla Nouvelle Museologie . Con il secondo dopoguerra si è aperta una nuova fase nell’evoluzione culturale del museo, legata allo sviluppo del suo ruolo educativo, mentre si è indebolita la funzione simbolica svolta all’epoca degli stati-nazioni, che aveva connesso i musei all’identità nazionale. “Sarà un nuovo pubblico, nella moltitudine dei bisogni esplosi nel nostro secondo dopoguerra, ad esigere che gli si cambino ancora i connotati: non più simulacro di identità ormai alla deriva, ma istituzione educativa, macchina culturale, moderno mezzo di comunicazione di massa”.
In questa situazione ormai mutata il museo si è trovato a dover conciliare la sua storia culturale, elitaria e aristocratica, con il nuovo sviluppo sociale legato alla società di massa. Questa nuova esigenza ha determinato l’apertura dei musei alla salvaguardia del patrimonio demoetnoantropologico, espressione delle tradizionali abitudini di vita di una società in cambiamento, che però non intendeva recidere il legame con le proprie radici culturali. L’investimento nelle potenzialità educative dei musei, collegato ai problemi della mediazione pubblica, ha subito una svolta decisiva tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 con la nascita della Nouvelle Muséologie. Questa nuova corrente di pensiero, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’elaborazione del concetto di Ecomuseo e successivamente ha cercato di trasferire gli stessi principi innovativi nei musei tradizionali, aveva come obiettivo principale l’abolizione della distanza fra il museo e il suo pubblico, enfatizzando la funzione di “uso collettivo” di un luogo fatto dalla collettività per la collettività. Nell’ambito della comunicazione museale, assumeva grande rilevanza il concetto di interpretazione: il museo cessava perciò di essere un semplice contenitore di oggetti per divenire dispositivo di produzione di testi, mediatore di messaggi antropologici che evocavano e rappresentavano la diversità nella vita sociale; in questo modo il museo si apriva alla dimensione comunitaria, assegnando un’importanza prioritaria all’identità locale, alla partecipazione popolare e alla prospettiva territoriale.
Da questi orientamenti è nato l’Ecomuseo, uno strumento per la popolazione che lo richiede e a cui si rivolge. Gli abitanti del territorio rappresentano più un normale pubblico ma partecipano a tutti gli effetti alla realizzazione dell’istituzione, che si propone di rappresentarli attraverso i propri simboli e valori. Così l’Ecomuseo esprime il tentativo di esaltare il territorio come luogo di relazioni; come spazio in cui sono sedimentati saperi locali, memorie, testimonianze; come trama di ancoraggio dei processi di sviluppo contemporanei: un’istituzione viva che studia il paesaggio, i siti, gli edifici e le testimonianze per poi elaborarli in rappresentazioni destinate ad una comunicazione pubblica. Con la crescente attenzione per le questioni ambientali e per la salvaguardia delle specificità culturali locali sviluppatesi negli anni ’70, la concezione di Ecomuseo si è evoluta, allontanandosi ulteriormente dai modelli tradizionali e mostrando sempre più attenzione al rapporto tra pubblico, territorio e museo. In questa seconda fase gli ecomusei si fondano principalmente sul coinvolgimento attivo della popolazione. Inoltre, come strumento di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale locale, l’Ecomuseo finisce per non coincidere più con un sito o un’area circoscritta, ma viene identificato con l’intero territorio della comunità.
Con l’evoluzione dell’istituzione museale è cambiato anche il concetto di patrimonio culturale, condizionando e rivoluzionando a sua volta la museologia contemporanea. Dalla fine dell’Ottocento ad oggi si è verificato un progressivo affrancamento della nozione di patrimonio dai concetti estetici con un allargamento a quelli sociali: “prima, l’inclusione degli oggetti “popolari” nella categoria dei reperti della museografia “alta” ; poi la considerazione del territorio fisico e delle sue tradizioni linguistiche; infine, l’introduzione dell’immateriale come elemento fondamentale del patrimonio museale tradizionale”. “In Italia, già dall’inizio degli anni ’70, vengono istituiti i primi musei di arti e tradizioni popolari, nati come risposta alla paura di perdere definitivamente i valori della società agricola tradizionale. In quegli anni, infatti, si assisteva ad una forte spinta all’industrializzazione e all’urbanizzazione, che stava determinando un progressivo abbandono delle campagne e dei lavori manuali”.
Nell’ultimo decennio il fenomeno di riscoperta della cultura locale e dell’identità territoriale si è potenziato, in particolare come reazione alla standardizzazione culturale. La diretta appartenenza al territorio, la possibilità di sviluppare progetti “periferici” senza dover necessariamente ricorrere all’appoggio dei poteri centrali, la dimensione di un approccio multidisciplinare e di un collegamento tra le varie iniziative, ha avuto come conseguenza rilevante la crescita della domanda di identità e una maggiore attenzione di studiosi e amministratori verso il patrimonio locale, anche perché, in un contesto con grandi attrattori, generalmente vige una gestione accentrata del potere, mentre il patrimonio locale non può essere promosso se non “coinvolgendo e delegando”. Ovviamente la consapevolezza verso la tutela del proprio territorio, che testimonia la propria storia e identità a dispetto di una cultura sempre più “globale”, si configura come fenomeno che ha attecchito maggiormente in comunità molto “caratterizzate”, con forti tradizioni, che nel corso del tempo hanno sentito l’esigenza di difenderle. Tuttavia, questa esigenza di identità si sta ampliando a poco a poco a tutte le comunità. Di fronte a queste spinte anche l’idea di museo cambia, si dilata fino a comprendere un determinato territorio anche vasto, che viene letto attraverso la ricostruzione delle trame storiche, economiche, sociali, culturali, aprendosi cioè alle multiformi categorie di beni esterni al museo stesso: paesaggio, architettura popolare contadina, coltivazioni tradizionali, artigianato, cultura orale, dialetti, religiosità popolare ecc…
Natura, territorio, ambiente, ecologia, presa di coscienza, consapevolezza…sono termini e concetti che hanno esercitato ed esercitano un forte richiamo in ambiti sociali e culturali ben più ampi della ristretta cerchia di “adepti” della Nouvelle Musèologie. Così, il modello dell’Ecomuseo si è rivelato fortemente attuale e moderno per tutte le comunità. Il suo successo sembra dipendere soprattutto dalla sua ambivalenza: la parola “museo” associata al prefisso “eco” si è mostrata capace di unire natura e cultura, tradizione e innovazione. Il museo è fortemente associato all’idea di un luogo statico e separato, ad una pratica di conservazione fondata sulla estrazione – separazione dei beni dal loro contesto, ma possiede anche una consolidata reputazione di istituto legato all’educazione, alla nazione e al progresso, che oggi gli consente di divenire caposaldo della modernità e simbolo della nazione e delle città. Il prefisso “eco” rinvia all’idea di una natura riconquistata e di una valorizzazione del patrimonio culturale in loco e si associa, al tempo stesso, a una critica radicale della stessa modernità (in crisi) e ad un’idea di salvaguardia ambientale libera dai vecchi dogmatismi, alla ricerca di nuovi modelli di vita e sviluppo “sostenibili” e “durevoli”. Come si vede, per le sue caratteristiche, l’Ecomuseo è capace di rispondere in pieno alle esigenze di identità di ciascuna comunità che deve dotarsi di una strategia capace di conservare, valorizzare e rendere fruibili tutte le risorse disponibili in situ, superando sterili logiche competitive e cercando il raggiungimento di relazioni e/o accordi tra attori pubblici e privati per “creare una visione condivisa e stimolare la partecipazione di tutti questi soggetti al disegno complessivo del territorio”.
Tipico strumento ecomuseale, le “Mappe di Comunità” costituiscono una innovativa tecnica di ricerca antropologica sul campo, capace di studiare e valorizzare l’identità e il patrimonio culturale di comunità territoriali. In numerose esperienze europee e italiane, le Mappe di Comunità si sono rivelate, oltre che un valido strumento di analisi delle trasformazioni culturali della popolazione in relazione al territorio, anche un modo per favorire nuovi processi di coesione sociale e per stimolare la nascita di nuove modalità di comunicazione tra cittadini e amministratori locali. La Mappa di Comunità si ispira alle esperienze anglosassoni delle “Parish map”, strumento con cui gli abitanti di un determinato luogo hanno la possibilità di rappresentare il patrimonio, il paesaggio, i saperi in cui si riconoscono e che desiderano trasmettere alle nuove generazioni. Evidenzia il modo con cui la comunità locale vede, percepisce, attribuisce valore al proprio territorio, alle sue memorie, alle sue trasformazioni, alla sua realtà attuale e a come vorrebbe che fosse in futuro. Consiste in una rappresentazione cartografica o in un qualsiasi altro prodotto od elaborato in cui la comunità si può identificare. La mappa è un processo culturale, introdotto in Inghilterra all’inizio degli anni Ottanta e poi ampiamente sperimentato, tramite il quale una comunità disegna i contorni del proprio patrimonio; è più di un semplice inventario di beni materiali o immateriali, in quanto include un insieme di relazioni invisibili fra questi elementi.
L’aggettivazione “Parish”[ref]Parish letteralmente significa “parrocchia” e deriva da una ripartizione amministrativa di tipo ecclesiastico, ma qui è usato con il significato di “piccola comunità”. In Italia potrebbe corrispondere a un “piccolo comune” o a una “borgata”, quindi viene tradotto con “comunità”.[/ref] , scelta per accompagnare Map, evidenzia chiaramente come l’obiettivo principale non sia quello di dare attenzione a un luogo definito da rigidi confini amministrativi, siano questi comunali o legati ad antiche proprietà ecclesiastiche, ma piuttosto come venga privilegiata quella che viene definita “la più piccola arena in cui la vita è vissuta”. A diventare luogo deputato di precise attenzioni è allora solo quel territorio che ha un significato particolare proprio per noi, quello di cui abbiamo personale conoscenza, nei riguardi del quale ci sentiamo fedeli, protettivi e attenti, quello di cui abbiamo misura e che, in qualche modo, esercita su di noi la capacità di modellarci.
La Mappa deve essere costruita col concorso dei residenti e far emergere tali relazioni. Non si riduce quindi ad una “fotografia” del territorio ma comprende anche il “processo con cui lo si fotografa”. Predisporre una mappa di comunità significa avviare un percorso finalizzato ad ottenere un “archivio” permanente, e sempre aggiornabile, delle persone e dei luoghi di un territorio. Eviterà la perdita delle conoscenze puntuali dei luoghi, quelle che sono espressione di saggezze sedimentate raggiunte con il contributo di generazioni e generazioni. Un luogo include memorie, spesso collettive, azioni e relazioni, valori e fatti numerosi e complessi che a volte sono più vicini alla gente che non alla geografia, ai sentimenti che non all’estensione territoriale.
E’ possibile delineare per grandi linee quelle che sono le tappe fondamentali per la creazione di una Mappa di Comunità: il primo passaggio è sicuramente la formazione di un gruppo seguita dall’individuazione di una o più aree a cui fare riferimento. Successivamente si passa all’attivazione dei gruppi di lavoro in relazione alle ‘dominanti’ individuate; poi si passa all’avvio del lavoro di mappatura vero e proprio.
Per poter conseguire un risultato almeno soddisfacente si necessita, come ampiamente detto, di incontri pubblici e/o momenti di scambio con attori locali. Questo lavoro d’equipe porterà all’elaborazione della mappa, che va considerata sempre come un qualcosa di dinamico e di cui è sempre importante verificare i risultati. Le mappe culturali non sono necessariamente carte geografiche. Il loro principale obiettivo è innescare un processo di partecipazione e promozione della conoscenza dei soggetti istituzionali e associativi che la promuovono, stimolando la partecipazione alla progettualità e alla “governance” del territorio. Obiettivi generali del progetto: favorire, attraverso la creazione di una mappatura culturale, la conoscenza locale del patrimonio diffuso e del suo territorio, in particolare delle opere e dei progetti già in corso o conclusi, di recupero e conservazione culturale, storico-architettonica e ambientale; focalizzare l’attenzione dell’operato e della progettazione ecomuseale sulla valorizzazione delle culture e delle tradizioni popolari locali e la conservazione dei saperi viventi; le sue principali finalità sono: comprendere sia aspetti didattico-educativi che aspetti di ricerca, azioni di coinvolgimento e ascolto attivo della popolazione in una cornice partecipativa. L’obiettivo strategico è quello di favorire la conoscenza e l’autocoscienza del patrimonio locale attraverso il coinvolgimento della popolazione al progetto ecomuseale. Le mappe culturali sono manufatti che contengono le indicazioni di come la popolazione “vede” e “sente” il proprio territorio, i beni materiali in esso contenuti e i valori che la gente vi attribuisce. Le modalità operative di costruzione della mappa si basano sulla sperimentazione di tecniche diverse di ascolto, di selezione/decisione sugli elementi e sui valori e di rappresentazione formale delle mappe da realizzare. Ogni laboratorio privilegia i metodi di indagine e di realizzazione che ritiene più adatti alla propria realtà e capacità, decidendo di dare avvio alla propria attività con la predisposizione di alcune domande significative (es.: Cosa rende speciale e diverso dagli altri questo luogo? Quali sono le cose che hanno maggiore significato per noi? Cosa è importante di questo paesaggio? Che cosa mi mancherebbe se non ci fosse più? Cosa vogliamo farne di questo patrimonio? Cosa e come vogliamo preservare? O migliorare? O trasformare?) da sottoporre alla comunità locale di appartenenza sotto forma, ad esempio, di questionario/inchiesta.
Per come è concepita non esiste la “mappa”, ma ogni rappresentazione, sebbene rappresenti il risultato di un processo di condivisione e mediazione collettiva, resta una tappa di un percorso. Il fatto straordinario del costruire la propria mappa è che si può scegliere cosa includere e cosa escludere, non si è vincolati dalle convenzioni e non è necessario conoscere le tendenze del momento; si può decidere come raccogliere e come discutere, quale debba essere il rapporto fra storia naturale e architettura, tra leggende e credenze, la scala alla quale si desidera lavorare, i confini da usare, i materiali, i simboli, le parole, il posto dove la mappa sarà esposta. Ci si può muovere alla propria velocità, distrarsi e farsi coinvolgere da una indagine pubblica, lavorare alla manutenzione dei sentieri, prender parte alla rappresentazione della comunità: questo è precisamente il senso dell’iniziativa. È lo spirito del luogo che ci rende felici di vivere proprio lì, che ci fa venire voglia di rimanere, lavorare e giocare, di impegnarci e di avere relazioni con le altre persone che lo abitano. L’azione collettiva nella creazione e ri-creazione continua della specificità di un luogo non è facile, ci ricorda che le comunità sono soggette a spinte conflittuali e contemporaneamente di partecipazione, che l’equilibrio fra abitanti e outsider richiede una costante costruzione di relazioni, che sostenere l’entusiasmo e l’impegno necessari è un lavoro difficile. Il passo più grande è il primo: le mappe di comunità sono un modo per cominciare. Nel percorso di realizzazione di una Mappa di Comunità, i cittadini vengono guidati nella costruzione di una rappresentazione “soggettiva” del proprio ambiente di vita, centrata su valori e parametri non geografici ma simbolici, culturali e memoriali. Con la Mappa di Comunità, dunque, è la stessa comunità locale a prendere direttamente la parola, arrivando a comporre un ritratto di sé stessa e del proprio rapporto col territorio.
Anche questa seconda edizione ha visto la partecipazione di diverse scuole rappresentative dell’intero territorio di riferimento della Soprintendenza. I ragazzi, saggiamente guidati dai docenti, hanno cercato di rappresentare quel patrimonio che considerano indissolubilmente legato alla propria identità, dando particolare risalto alle tradizioni popolari, alla cultura enogastronomica, agli antichi mestieri ed alle trasformazioni avvenute nel corso degli anni che hanno segnato le proprie comunità. Ogni scuola ha scelto di rappresentare il proprio territorio in maniera originale ricorrendo a svariate tecniche compositive: dal collage alla rappresentazione tridimensionale, limitandosi a narrare la storia del luogo per immagini o includendo nella mappa i prodotti della terra per meglio tipicizzare le proprie rappresentazioni.
Ovviamente ciò che più conta è l’immediatezza del messaggio che si intendeva trasmettere al di là dei risultati formali, ma far coesistere fotografie d’epoca e non con cartoline, disegni, aggiungendo le tracce del patrimonio naturalistico e infine gli aspetti della cultura immateriale quali aneddoti, leggende, detti popolari, ricette, canti, ma anche stoffe come decorazione e simpatiche “animazioni tridimensionali” riesce a descrivere il territorio in maniera efficace. Menzione particolare meritano i docenti che anche quest’anno si sono cimentati nel difficile compito di rappresentare le specificità della propria comunità guidando i ragazzi, aiutandoli a selezionare i principali elementi di valore del patrimonio materiale ed immateriale sottoponendo loro i questionari preposti all’uopo, favorendo l’apprendimento cooperativo, organizzando i gruppi di lavoro, senza mai sovrapporsi al lavoro creativo né limitando lo spirito critico dei propri alunni. Soprattutto per quelli che partecipando nuovamente al progetto, dopo l’esperienza dell’anno precedente, hanno sottolineato il carattere specificatamente dinamico delle mappe e la loro capacità di adattarsi al territorio di riferimento con formule sempre nuove.

Daniele Napolitano