Patrimoni da osservare

Non è un inventario di catalogazione; non dipende, infatti, da un archivio o da una qualsiasi altra sistemazione stanziale di documenti. Non è un regesto di dati, in quanto non consiste in una mera funzione censoria o informativa, realizzata con un’indagine porta a porta. Nemmeno un elenco particolareggiato, per il semplice fatto che non si riduce ad un lavoro descrittivo di indicizzazione topografica. L’inventario partecipato di un Ecomuseo è un particolare strumento di lavoro cui si ricorre nell’analisi partecipativa, ossia nella fase di studio e ricerca del patrimonio materiale e immateriale di un territorio, quella stessa che porta alla stesura delle Mappe di comunità. Tale strumento è, innanzitutto, una collazione di schede eterogenee: documentarie, catalografiche, descrittive, di studio, fino a concepire qualsiasi rappresentazione di dati, anche soltanto grafica, con la stessa libertà di rappresentazione con cui si personalizzano le Mappe di comunità.

L’inventario si basa su una precisa premessa: ogni bene è considerato tale per il particolare ruolo che ha assunto e può assumere ancora nell’attività e nell’ordinaria esperienza di vita della comunità interessata. Ciò implica un importante punto fermo: il bene deve appartenere ad uno spazio vissuto, definito da condizionamenti geografici e da un sedimentato processo storico; uno spazio vivo, ancora soggetto a trasformazioni, in una sola parola l’habitat della comunità residente in quel territorio, ossia il loro futuro ecosistema. L’inventario partecipato è, per sua natura, inclusivo, ma non generalizzante. E’ condiviso da tutta la comunità, senza scadere però nel relativismo dell’opinabilità. I criteri oggettivi sono definiti dalla convergenza di simili esigenze e interessi, sono criteri progettuali, emersi in un’analisi soggettiva, riconoscibile in una dimensione collettiva, intendendo per essa una parte della comunità, mai la totalità. In tali termini l’inventario si definisce già partecipato: espressione dell’identità di un gruppo di lavoro.

La partecipazione, infatti, non è retorica adesione; ma un’alleanza sulla base di medesime necessità e secondo un preciso impegno operativo comune. Hugues De Varine, il padre dell’Ecomuseo, definisce la partecipazione ‘capacitazione’, volendovi intendere l’atto di responsabilità proprio del capacitarsi; ossia dell’essere consapevoli e sicuri sia di quanto si è chiamati a fare, sia delle proprie possibilità attuative.  L’alleanza sta nell’aiuto reciproco tra i membri di un gruppo della comunità, ma anche tra i facilitatori e la comunità stessa, in quanto entrambi sono un’insostituibile fonte di sapere. Non a caso, in una successiva fase, si nominano all’interno della comunità dei nuovi facilitatori: comuni residenti, dimostratisi importante risorsa di conoscenza e di progettualità, con il compito di trascinare altri abitanti del territorio nel gruppo di lavoro. In questo modo l’inventario partecipato facilita un processo di autodeterminazione della comunità e costituisce il primo stadio di ‘presidio intellettuale’ di un territorio da parte degli stessi residenti.

Come si realizza un inventario partecipato?

I facilitatori sensibilizzano l’indagine sul territorio attraverso un questionario che viene utilizzato anche per progettare la Mappa di comunità.

Cosa si individua nel questionario?

Si prendono delle decisioni, si definisce il bene patrimoniale su una selezione soggettiva: “- Cosa ti mancherebbe di più se non ci fosse? Quali di queste cose hanno più valore per te? “- che stabilisce ciò che è prioritario, ossia ciò che, per importanza e strategia, si deve proporre per un ecomuseo in quel determinato territorio. Si considera anche l’ipotesi che non sia possibile progettare un ecomuseo: “Ritieni che nel tuo Comune vi sia un luogo meritevole di essere visitato?”

Nel questionario per “patrimonio” s’intende qualsiasi bene naturale, storico-artistico, artigianale, rurale, spontaneo, popolare, materiale; immateriale, invisibile, orale, aurale, linguistico, ossia proverbi, detti, espressioni locali molto caratterizzanti, storie e leggende del posto raccontate e quasi mai scritte, dagli anziani del luogo e ignote alle stesse nuove generazioni dei residenti di un territorio; semplici ricordi di vita vissuta, oppure pratiche scritte in molteplici versioni, come le stesse ricette culinarie o farmacologiche, se non nozioni, di carattere misterico o rituali che affondano nelle radici della cultura popolare del luogo. E ancora suoni, scenari, colori e qualsiasi altro elemento visivo che può essere solo fotografato, semmai dipinto, ma difficilmente descritto a parole, pur se poetanti. Non solo: il patrimonio, in tale questionario, è il desiderio stesso di paesaggio, di vedere il proprio territorio trasformarsi in un luogo non solo armonioso, ma soprattutto identitario, ossia che parla di sé, descrivendo nello stesso tempo tutta una serie di dettagli che appartengono alla comunità del posto, segni della loro presenza, del loro vissuto e della loro esistenza. Chi sottopone alla comunità le domande del questionario?

I bambini ed i ragazzi, chi ha maggiore predisposizione a incontrare la comunità del territorio, a coinvolgerla in un’indagine sul posto; ed ha l’incoscienza o la spontaneità di domandare a chiunque incontra, come la curiosità di girare e la passione di ritornare il giorno dopo a compiere l’indagine in corso, con la pazienza e la meticolosità di registrare ogni cosa riferita per il semplice fatto che tutta questa operazione rappresenta ancora un gioco. Infine chi ha la capacità di osservare senza la presunzione di sapere, di conoscere soltanto perché ha visto ed è testimone diretto. In altre parole chi è in grado, senza volerlo, di restituire alla comunità – sottoforma di inventario – un ‘patrimonio da osservare’.

Vito Ganga

Pubblicazione Ecomuseo – 3° Ed.